Il carsismo asiatico
Le difficoltà nel reperire i permessi per accedere alla zona carsica, non hanno fermato le esplorazioni del team Acheloos Geo exploring, che in varie battute ha portato a termine un importante studio sul complesso carsico della regione. Si parla di un vero e proprio fiume sotteraneo che attravesa un complesso montuoso di considerevoli dimesioni. Importante la scoperta di un sito archeologico ipogeo dedicato allo spirito della montagna ..
Testo e analisi storico-geografica di Andrea Benassi. Foto Ivan Vicenzi, Fabio Giacomello, Giovanni Polletti
L’antica storia del popolamento del Laos e della sua preistoria è tuttora un orizzonte scarsamente compreso e pieno di punti oscuri. Alla scarsità di dati oggettivi e di conoscenze in relazione a siti e depositi , si contrappone attualmente una complessità linguistica ed etnica, tale da farne uno degli stati della regione con la piu’ alta presenza di gruppi e minoranze . Le più antiche tracce di occupazione in relazione al paleolitico furono trovate nel 1940 da Paul Lèvj (Levj 1939; Levj 1942) nei villaggi Xieng-Lek, Phon-Muat e Pha-Khom, situati nella periferia della città di Luang Prabang, nel nord del paese mentre Madeleine Colani, (Colani 1931) sempre all’inizio del secolo ha dimostrato la presenza di una popolazione neolitica nelle grotte del territorio della provincia del Khammuan riferibili alla industria litica da lei stessa definita come Hoa Binhiana . Resti umani paleolitici e mesolitici sono stati scoperti in due grotte nel nord del Laos: Tham Pha Loi e Tham Hang (SAURIN 1969). Comunque siti di sepoltura intenzionali sono documentati solo dal basso neolitico: dieci siti di sepoltura sono stati scoperti nel nord Laos e attribuiti a Negritos, Melanesiani e Indonesians-Mongoloids. Altre tracce di sepolture sono state scoperte nella provincia del Khammouane vicino a Thakhek e Mahaxai, dove i corpi sono rimasti in sito insieme con il materiale funerario. Alcuni di questi siti funerari si trovano ubicati in stretti cunicoli carsici. (Colani 1931: Saurin 1952, Saurin, 1969) Un sito funerario molto piu’ recente è stato scoperto nel 1996, durante una spedizione speleologica (Mouret, 1997, p.62), in una grotta, Tham Long, vicino al confine vietnamita .
Da miei precedenti sopralluoghi nella regione negli anni tra il 1997 e il 2000, ho potuto isolare la provincia laotiana del Khammouan , come zona di particolare interesse etnografico. Quest’area, da sempre sottoposta ai transiti a alle invasioni tanto dei gruppi provenienti dalla valle del Menan, attuale Thailandia, quanto di quelli provenienti dai regni vietnamiti (HIGHAM, 1998), si presenta realmente come il fulcro dove nei secoli si sono confrontate e toccate le sfere d’influenza cinese, sviluppatasi nell’Annam, e gli elementi indiani su cui si sono strutturati i regni dei Chen-La e del Fou-Nam (COEDES, 1962). I gruppi Austroasiatici che attualmente sopravvivono in questa parte del Laos si trovano ad essere quindi delle ‘isole’ linguistiche, in cui investigare gli effetti ed i modelli che si sono venuti a creare a seguito di questo complesso accerchiamento culturale, che ha portato ad un forzato adattamento e ad una marginalizzazione in ambienti particolari e spesso ostili. In tal senso la provincia del Khammouan si presenta morfologicamente come una zona particolare, essendo fortemente interessata da vistosi ed imponenti fenomeni di tipo carsico: parte delle maggiori catene interne, Hin Boun Luoang, e Sayphou Luoang, si presentano come strutture esasperate, con una morfologia costituita di innumerevoli valli interne, fortemente isolate, caratterizzate dall’assenza di idrografia superficiale, ed in parte accerchiate da vaste zone di rocce scoperte dove è assenta la copertura forestale, scarsissima la fauna e praticamente impossibile il transito (IUCN, 1997). Proprio in questi ambienti sopravvivono alcuni di questi gruppi marginali Austroasiatici, concentrati appunto in territori dove è assolutamente impossibile praticare una risicoltura di tipo intensivo e sviluppare centri urbani. Nel caso di questa provincia la suddivisione di gruppi etnici operata dallo stato laotiano nasconde una eccezionale diversità etnica particolarmente nelle aree interne e nella parte est della provincia dove si riconoscono una moltitudine di gruppi austroasiatici: Makong, Ahoe, Atel, Arao, Maleng, Cali, Chui, Yumbri , Santao, Doy, Khmu, distribuiti nelle seguenti tre aree: parte alta della catena del Sayphou Louang, zona carsica del Nam Hin No, sempre al confine con il Vietnam, zona carsica del Phou Hinboun, posta a nord del capoluogo Thakhek (CHAZEE 1999). In un territorio, che come ho detto è fortemente caratterizzato e condizionato da sistemi ipogei, questo aspetto del reale non poteva non entrare e fondersi con i sistemi culturali e religiosi dei gruppi che lo abitano: le grotte risultano infatti utilizzate e frequentate sotto molti aspetti . Del tutto particolare è chiaramente il rapporto con le risorse idriche; in un territorio soggetto ad una lunga stagione secca , che la natura morfologica dell’area in esame rende ancora piu’ esasperata, la realtà ed il ciclico ritorno delle acque appare indissolubilmente legato al mondo ctonio. Piano del reale dove queste scompaiono o da cui scaturiscono, ed il cui alternarsi modifica profondamente l’aspetto stesso del territorio. Nei miei precedenti sopralluoghi ho inoltre identificato, nei territori di alcuni gruppi , numerosi siti ipogei di tipo sepolcrale e rituale riferibili, sulla base all’analisi morfologica degli strumenti litici e della ceramica, al tardo neolitico. Altri usi degli ambienti ipogei sono comunemente la raccolta di cibo: nei villaggi visitati, Ban Thatthôt, Ban Vangyen, Ban Muang Luang , Ban Kouan, Ban Bounlou, ecc. i locali si recano normalmente in un gran numero di grotte per eseguire una caccia raccolta: L’attività piu’ comune è la pesca, praticata all’ingresso o anche all’interno della cavità, è uso anche tendere reti all’imbocco di cavità percorse da corsi d’acqua come per la zona di Ban Bamboulou, nella valle interna del Nam Paxan, o Ban Vangyen in relazione alle aree legate al sistema del Nam Koang, e sistemare trappole a strozzo per gamberi o simili. Altro grande utilizzo dei sistemi carsici è come vie di rapida e comoda comunicazione e transito tra vallate altrimenti irraggiungibili. Nell’area di Ban Nathan e un grande traforo è percorso come regolare ed unica vie di collegamento e transito tra villaggi; per l’attraversamento sono attualmente usate torce di resina o bambu asciutti, e dal 1996 anche lampade elettriche con accumulatori. Il Nam Hin Boun è comunemente usato per trasportare pesanti carichi attraverso le montagne grazie alle canoe che percorrono senza problema gli oltre sette chilometri del traforo. Le grotte di attraversamento sono state prontamente osservate già dalle prime missioni francesi a partire dal 1889, e necessitano come nel del caso del Hin Boun, di alcune ore lungo corrente, ed anche un giorno contro corrente. Simili navigazioni sono state osservate anche nella Houei Khi Heup, o nella Tham Ibu, mentre molte altre sono transitabili per piu’ brevi percorsi, a piedi . Anche la pesca è largamente praticata nei pressi dei siti ipogei in attesa della stagione umida; alla fine della stagione umida le trappole sono sistemate lungo il corso superficiale seguendo la scomparsa delle acque nel carso sotterraneo, come nel caso del Nam Koang . Molte le varietà e le specie pescate e raccolte. Viene praticata anche la raccolta dei nidi e del miele. Ci sono alcuni esempi di caccia all’interno delle grotte, a cinghiali selvatici e tigri. Anche il guano rappresenta un risorsa ricercata e raccolta.
Le principali emergenze archeologiche rinvenute nel corso delle esplorazioni speleologiche sono localizzate nella provincia del Khammuan, ed in modo particolare nel distretto di Gnommalat, zona dove già (COLANI 1931, SAURIN 1952) era stata segnalata la presenza di una occupazione riferibile al neolitico. L’area di riferimento è costituita dalla complessa struttura geologica dei Sayphou Nam Hinboun, un estesa area carsica che attraversa longitudinalmente l’intero paese dalla piana del Mekong alla catena annamitica, proseguendo in Vietnam. L’importanza della via di transito rappresentata da questa zona tra le regioni del Menam, e la costa, è ben rappresentata anche dalle analogie morfologiche dei reperti trovati rispetto all’orizzonte culturale di Ban Chiang (Higham 1998) sull’altopiano di Khorat in Thailandia, mentre rimane ancora tutta da verificare la presenza di siti nel distretto di Bualapha, che presenta analoghi caratteri morfologici e di popolamento, e che si pone a cavallo della catena dell’Annam, proprio nel punto in cui questa è da sempre stata valicata in corrispondenza della Porta dell’Annam. Il sito della cavità di Marie Cassan , già in parte conosciuto, presenta al suo interno una interessante varietà di depositi riferibili a differenti utilizzi della stessa. La cavità, che svolge la funzione di risorgenza di un notevole corso d’acqua che confluisce nel Nam Gnom, si presenta con dimensioni maestose, oltre 30 metri di sezione delle gallerie, e presenta al suo interno un corso d’acqua attualmente navigabile per circa 3 km fino all’attuale termine sifonante. L’attuale sistemazione di un invaso artificiale per le necessità di irrigazione del villaggio di Ban Thon, (1990) che ha alzato il livello, non permette però di conoscere esattamente il livello e l’eventuale presenza di depositi ormai sommersi od un suo possibile uso come via di attraversamento verso le parti interne del massiccio . Attualmente la cavità presenta almeno due importanti depositi localizzati entrambe nella grande camera iniziale . Una zona di sepolture ad inumazione, ricavate dall’adattamento di una serie di vasche naturali concrezionate ed ormai fossili, presenti in un piccolo diverticolo laterale di modeste dimensioni. Il deposito si presentava purtroppo abbondantemente rimaneggiato da cercatori di tesori locali, praticamente gli stessi abitanti del villaggio, che avevano sfatto le sepolture mischiando abbondantemente il materiale di riempimento, alla ricerca di oggetti in pietra, di cui gli stessi conoscevano bene la presenza nella cavità. Oggetti di cui probabilmente la stessa era ricca e che sono ricontestualizzati come potenti amuleti, (spesso sede di un Phi, spirito), da tenere o vendere. A questo si lega la percezione che la stessa cavità , sia sede di entità importanti per il villaggio , che operano in associazione con il potere sacrale emanato dalla sacralità Buddista legata alla grotta in quanto sito del Tempio prototipico . Indagini di superficie tra il materiale smosso hanno permesso di identificate e recuperare, quattro attrezzi litici sul modello morfologico dell’accetta a tenone tipica dell’Hoabinhiano e Bacsoniano , numerosi frammenti fittili, nonché reperti ossei e resti di cibo, semi e conchiglie probabilmente inumati con il defunto. Il sito è sicuramente specializzato con funzione sepolcrale, vista la sua scelta marginale nella grande cavità, e l’assenza di resti di focolari o annerimenti dell’ambiente, nonché il lavoro di regolarizzazione delle vasche in pietra. Il pavimento concrezionato ed ormai fossile, non fa pensare alla presenza di orizzonti piu’ antichi nel cunicolo, mentre appena fuori da questo il materiale ed i detriti recenti si sommano in strati potenti. Sempre dalla camera iniziale, oggi occupata in parte da un grande lago, è possibile, risalendo su di una parete per 40 metri, pervenire ad una grande balconata sospesa, in parte creata da una colata fossile, da cui partono alcune gallerie. Da una di queste, continuando a risalire si entra in un piccolo condotto di dimensioni minime, completamente asciutto, al cui termine sono stati ritrovati una serie di vasi appositamente deposti. Questi al momento della scoperta si presentavano in sito, ed erano posti in corrispondenza di un piccolo arrivo di acqua ormai fossilizzato, alcuni in parte inglobati nella concrezione che costituisce il fondo del cunicolo. Vista l’abbondanza di acqua nella parte bassa della cavità, l’utilizzo si presenta come prettamente rituale e sacrale, anche in funzione della posizione, e della difficoltà e pericolo insito nel raggiunge il cunicolo. La raccolta di acqua doveva quindi rivestire un significato assimilabile ad una appropriazione della potenza dell’entità che vi si pensava risiedesse. Questo trova paragoni con la potenza acquatica dei Naga come tutt’oggi è spesso percepita in quest’area. La tipologia dei reperti rinvia ai vasi globulari tipici così come le decorazioni a cordicella la grana e lo spessore dell’impasto, nonché il concrezionamento di alcuni di essi, e le modificate condizioni ambientali del sito, fanno desumere una datazione riferibile al medio neolitico, assimilabile all’orizzonte di Ban Chiang. Anche in questo caso la deposizione nel sito potrebbe essere stata occasionale e non ripetuta, vista per esempio l’uniformità stilistica dei materiali, ma la presenza di altri piccoli diverticoli non esclude l’eventualità di altri depositi. Anche qui non si rinvengono tracce di focolari o annerimento delle pareti nonostante l’esiguità degli ambienti. Nelle vicinanze della cavità è presente un altro piccolo sistema, anch’esso utilizzato dalla popolazione locale come fonte di risorse alimentari, mediante la raccolta di piccoli molluschi ed insetti, presenti nella zona sotto roccia posta immediatamente all’ingresso, dove l’acqua e l’umidità si trattiene per tutta la stagione secca, mentre l’interno della grotta presenta numerose tracce di frequentazione recente, forse per la raccolta del guano. Tutta quest’area si presterebbe bene ad eventuali ricerche sulla presenza di depositi e record. Il sistema ipogeo del Nam Koang , scoperto ed esplorato nel 1999, situato in una zona interna del massiccio, testimonia con la contiguità e l’estensione degli insediamenti preistorici contenuti, come la zona di interfaccia tra la savana arbustiva ed impermeabile e la copertura carsica assorbente si configuri come area privilegiata per un tipo di insediamento e sussistenza multi modello, che sfrutta sia l’abbondanza di selvaggina presente nella zona a foresta ed il suo migrare alla ricerca di acqua, che le risorse ittiche determinate dalle emergenze e dalle zone di assorbimento, senza per questo rinunciare alla possibilità di praticare orticoltura e limitata agricoltura. Il sistema carsico lontano dall’essere completamente esplorato, si configura come una struttura di notevoli dimensioni e sviluppo e con molteplici ingressi: la zona bassa ed attiva, percorsa dal corso d’acqua, che durante la stagione delle piogge allaga l’intera pianura antistante, è frequentata come area di pesca e raccolta, sia con canoe, che reti o trappole, in funzione del livello delle acque. Uno degli enormi ingressi alti è un sito di caccia conosciuto dai cacciatori locali, in quanto sede di una colonia di ungolati non ben identificati come testimoniano abbondanti resti ossei. L’interno della cavità, nella sua parte fossile, si presenta di dimensioni maestose, con gallerie larghe oltre 50 metri ed alte tra i 40 ed i 60, in un dedalo di frane e depositi di varia natura, in questo panorama sono comunque presenti tracce di frequentazione sia da parte di predatori, che consumano i loro pasti anche molti chilometri all’interno, sia umana con presenza di resti di torce vegetali e tracce del passaggio in alcuni punti chiave. In una galleria laterale, a circa 500 metri da un ingresso secondario, è stato trovato un sito sepolcrale posto al fondo di una diramazione cieca minore, in un ambiente fossile, contraddistinto da abbondanti depositi eolici di sabbie e polveri fini. Il sito, intatto, presentava la deposizione di una grande giara globulare rotta naturalmente in alcuni pezzi, al cui interno era un impasto di argilla rossa e ceneri relative al defunto. Il vaso presenta una decorazione a cordicella assimilabile a quelle di Marie Cassan, nonostante la differente modalità della sepoltura. Immediatamente prima, era deposta un piccola ciotola fittile con all’interno tracce di carboni vegetali e resti di un piccolo fuoco. La frequentazione unitamente alla complessità del sistema, ed alla deliberata scelta di diramazioni e diverticoli minori, fa pensare alla presenza di altri depositi.
La contemporanea presenza di questi due aspetti: esistenza di una serie di siti in ripari sottoroccia o in grotta, e gruppi etno-linguistici relativi ad ondate di popolamento antiche, ed in modo particolare strettamente legati ad un uso sistematico delle stesse cavità già sede di ritrovamenti, stimola l’idea di una comparazione funzionale, che permetta la creazione di un modello di gestione delle risorse e del territorio. L’importanza degli stessi siti ipogei come spazi legati a molteplici funzioni, simboliche e materiali, ne fa in alcuni casi anche intuire una complessa rifunzionalizzazione e sedimentazione diacronica di significati culturali: in modo particolare in relazione a tutti quei sistemi di sussistenza e di produzione ‘arcaici’ e legati ai gruppi che praticano una agricoltura ‘povera’ e non allagata, in terreni svantaggiati, quali quelli carsici. Gruppi che praticano quindi una serie di tecniche di orticultura, caccia pesca e raccolta secondo una dinamica di alta specializzazione degli spazi; creando un sistema di sussistenza basato sull’uso estensivo dello spazio, strettamente legato al territorio, ed in modo particolare ai vincoli legati al carsismo. In tal senso risulterebe quindi di grande interesse l’analisi dei gruppi di lingua Austroasiatiche, ed in modo particolare di quei pochi ancora legati ad uno stile nomade, quali sono gli Yumbri , che piu’ di un autore ha correlato con i negritos della Malaisia (Semang), delle Filippine, e delle Andamanne, quali ultimi esponenti di un piu’ antico popolamento pre-Austroasiatico. Forte è la suggestione di affiancare questi gruppi minoritari con i ritrovamenti anche paletnologici operati sempre dalla Colani nei siti di Hoa Bin, in associazione con i corredi litici, cosa del resto presentata come ipotesi etnoarcheologica dal Bellwood. Una sovrapposizione dei due orizzonti, come una giustapposizione tra orizzonti culturali agricoli austronesiani e cultura di caccia e raccolta neolitica-marginale, legata alle ondate pre-austroasiatiche , come uniche responsabili dell’utilizzo e creazione dei siti Hoa-binhiani, è da escludere in quanto troppo netta e che come già accennato non tiene conto delle molte rifunzionalizzazione dei medesimi siti. Questo però non esclude l’importanza di una ricerca sulle molte tecniche di sussistenza che attualmente coinvolgono le strutture sotterranee, alfine di fornire una constestualizzazione ed un orizzonte socio-culturale dei depositi che vi si rinvengono, probabilmente in alcuni casi, senza soluzione di continuità. Il rinvenimento di diversi nuovi siti preistorici, collegabili con l’orizzonte di Hoa binh e di Bac son, e tuttora utilizzati sia a scopo cultuale che alimentare, fa ben sperare nelle possibilità di ulteriori future ricerche etno-archeologiche, che puntino l’attenzione sulle commistioni di uso e funzionalità, carattere sia sincronico che diacronico imprescindibile in un area connaturata da continue contaminazioni ed influssi culturali. Un’area dove la stessa transizione tra il neolitico di caccia e raccolta, pensato caratterizzato da piccoli gruppi nomadi e responsabili dei siti in grotta, non si è probabilmente sostituito in modo netto con l’avvento della rivoluzione agricola. Lo stesso rapporto tra la presenza di vasellame e la stanzialità dei gruppi umani, non è necessario e sufficiente se gli spostamenti sono limitati e ciclici, così come gli attrezzi di pietra possono essere usati sia per pulire il terreno, che per produrre armi o altro, rendendo difficile la soluzione del problema della rivoluzione neolitica in relazione con la risicoltura. Si rivelano emblematiche in tal senso le asce di pietra simili a quelle trovate a Khok Phanom Di (Hingham, 1998, p.50) in un sito di cacciatori raccoglitori nel golfo del Siam verso la costa sud, abitato dal 2000 al 1600 a.c. che però presenta evidenze di strutture stabili e complesse, legate ad un forte senso del territorio. Molteplici testimonianze portano a pensare infatti che si trattasse solo di uno pseudo nomadismo, che permettesse anche gruppi piu’ numerosi. Questo tipo di modello misto ed etnicamente eterogeneo ben si presta ad un tentativo di comparazione con alcune delle tecniche attuali, così fortemente caratterizzate da una complessa simbiosi ambientale. E’ quindi probabilmente in tal senso da sfatare, per quest’area, lo stesso mito dei cacciatori raccoglitori preistorici come obbligatoriamente costituiti da piccoli gruppi sempre in movimento, in molte grotte in Thailandia si è infatti dimostrato come queste comunità possano anche stanziarsi per un tempo sufficientemente lungo, in funzione delle disponibilità ambientali del sito , in modo particolare in relazione ad alcune cavità di altura situate vicino ai fiumi come nel caso del contesto etnografico attuale già descritto. Questi gruppi di Hoabininani trassero vantaggio dalla posizione dei ripari, senza necessariamente dovervi abitare, ed anzi utilizzandole proprio per una serie di attività alternative (Higham 1989, p.64) quali quelle etnograficamente riportate anche dalla realtà attuale; con la differenza che le grotte hanno protetto meglio i depositi. Questi gruppi consumavano un ampio spettro di risorse alimentari come molti gruppi attuali. Molti di questi prodotti di raccolta sono facilmente accessibili proprio negli ambienti peculiari delle cavità. Diviene in tal senso di grande importanza il tentativo di contestualizzare l’utilizzo e lo stile di vita in rapporto a questi ripari e siti in grotta, applicando una attenta comparazione con gli attuali contesti viventi. Il fatto che questi popoli fossero cacciatori raccoglitori non implica necessariamente che fossero sempre costantemente in movimento, ma probabilmente i loro spostamenti seguivano cicli vegetativi e faunistici. In modo particolare occupare una zona particolarmente ricca potrebbe aver portato a movimenti nomadici ridotti su una superficie minima, favorendo la creazione di un sistema di sussistenza promiscuo sulla base di una rete di risorse consolidata.
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