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AOUK UNDERGROUND RIVER 2017

Tra il 17 dicembre 2017 ed il 23 gennaio 2018 si è svolta la seconda spedizione del gruppo Acheloos Geo Exploring in West Papua, parte indonesiana della Nuova Guinea. La spedizione, che è parte del progetto Call for river, ha avuto come obiettivo i grandi trafori del fiume Aouk nella penisola settentrionale della Bird’s Head.

La Nuova Guinea, una volta che ti ha preso nel suo abbraccio, difficilmente ti lascia andare. Qualcuno nel secolo scorso coniò il termine di mal d’Africa per dare un nome a quella malinconica nostalgia per un luogo lontano, ma che riesce ad incarnarsi nell’animo di chi lo visita. Non sappiamo se si possa parlare di mal di Papua, ma è certo che anche se siamo tornati solo da poche settimane, la nostalgia c’è tutta Sicuramente questo lo sapevano bene anche Odoardo Beccari e Luigi Maria D’Albertis, i due esploratori e naturalisti italiani che per primi quasi 150 anni fa esplorarono quelle terra di meraviglie. Il 9 aprile 1872, D’Albertis appena sbarcato annota raggiante sul suo diario: "Giorno memorabile! Finalmente l’ho calpestata questa terra misteriosa: finalmente saltando a terra stamane, potei esclamare: "Alla Nuova Guinea ci siamo!". Da quel primo giorno, entrambe passeranno quasi dieci anni viaggiando in quei luoghi. Quasi incapaci di stancarsi di sempre nuove scoperte e avventure. Molto tempo è passato, ma fortunatamente per noi speleologi, buona parte delle grotte della Nuova Guinea è ancora avvolta nel medesimo mistero di allora. Dopo la survey realizzata al termine della spedizione Seram 2016, è stato chiaro fin da subito a tutti che si trattava solo di un arrivederci. Le meravigliose geometrie di acqua e di pietra che il fiume Aouk descriveva nel suo viaggio sotterraneo ci chiedevano di tornare: per viverle, esplorarle e provare a raccontarle. C’è voluto più di un anno per mettere insieme squadra, materiali, informazioni e tecniche; alla fine non restava che partire e tirare i dadi della fortuna. Cosi tra il 17 dicembre 2017 ed il 23 gennaio 2018 si è svolta la seconda spedizione del gruppo Acheloos Geo Exploring in West Papua, parte indonesiana della Nuova Guinea.

La spedizione ha avuto come obiettivo gli enormi trafori fluvio-carsici creati dal fiume Aouk nella penisola settentrionale della Bird’s Head. Adesso che siamo tornati possiamo dire che è stato tutto tempo ben speso, e che difficilmente se ne sarebbe potuto fare a meno. Anche nell’epoca del web e degli aerei low cost, organizzare una Spedizione che si voglia dare obbiettivi seri, richiede lo stesso tempo che era necessario un secolo fa. Nonostante non poche difficoltà il fiume Aouk ha ricambiato il nostro impegno. Nonostante avessimo cercato di scegliere il periodo migliore dal punto di vista meteorologico, fin dal primo giorno è stato chiarissimo che gli oltre sei metri di acqua che ogni anno piovono sul plateau di Ajamaru, sono distribuiti in modo quasi uniforme durante tutto l’anno. Morale, per il fiume Aouk non esiste una stagione neanche lontanamente secca. La sua portata risulta quindi quasi stabile: oscillando al più tra i 40 e i 70 metri cubi al secondo di media. Questo ovviamente quando non è soggetto ad un evento di piena. Il problema è che le piene da quelle parti avvengono in media ogni tre giorni. Giusto il tempo per defluire.

Una volta capito sulla nostra pelle questo concetto, passando da 60 a 150 cubi in 5 ore, il resto è venuto quasi da se. Cosi questa volta i giorni in foresta passano esplorando gallerie tra una piena e l’altra. Quando va bene si gioca con trenta o quaranta metri cubi d’acqua al secondo, quando decide di piovere e va male... beh in quel caso è meglio uscire molto rapidamente. Giocare con così tanta acqua in grotta è strano. C’è un limite sottile che separa il molto divertente dal molto pericoloso. Un limite fatto di velocità dell’acqua, turbolenze, trappole e tronchi. Una speleologia diversa dal solito, dove è tutto un mischiare tecniche e attrezzi. Cosi accanto a caschi e bloccanti compaiono corde galleggianti, giubbetti di salvataggio, moschettoni a sgancio rapido, arpioni, tagliasagole e perfino una variante delle piccozze da ghiaccio: costruita apposta per risalire controcorrente. Senza dimenticare gli immancabili Alpackraft per fare dell’ottimo kayak underground! Il tutto per provare a dimenticarci che il fiume e la sua voce fanno veramente paura. D’altronde il luogo esige sicuramente rispetto. Lo scorso anno avevamo dedicato l’enorme galleria attiva ad Amos, il demone delle acque. Un entità capricciosa e imprevedibile, protettore degli animali ma anche responsabile di punire gli uomini: scatenando contro di loro furiose inondazioni. Quest’anno, proseguendo controcorrente, il nuovo tratto esplorato, se possibile ancora più imponente, ha preso nella nostra topografia il nome di Galleria Beccari e D’Albertis, poi la corrente e le piene hanno preso il sopravvento e ci hanno convinto a cambiare tattica.

Dieci chilometri a monte, vicino al piccolo villaggio di Seya, presso le sorgenti dell’Aouk, hanno preso forma cosi il grande traforo di Aouf-Manawary e il suo affluente Yarim. Tre chilometri di enormi gallerie quasi tutte navigabili con cui abbiamo festeggiato Natale e Capodanno. Il traforo principale non poteva però essere abbandonato. Se la via risalendo da valle ci aveva respinto, perché non provare ad entrare da Waykut, l’ingresso a monte? Waykut, il luogo delle eclissi, ovvero l’enorme portale dove il fiume scompare, ma anche dove si avviano i morti: la madri e i padri che diventeranno antenati. Antenati dei Mey Mare, ovvero del popolo che abita da tempi immemorabili queste foreste. Con loro passiamo spesso le notti al campo, ascoltando storie senza tempo; da loro impariamo infatti che l’Aouk è molto più di una grotta: il ruggito dell’Aouk è la voce stessa degli antenati. Prima ancora dell’acqua nell’inghiottitoio a metterci pensiero è però la lunga calata di oltre 150 metri necessaria per raggiungere il fiume. Non è tanto l’altezza a metterci a disagio, quanto la roccia a cui dovremo attaccarci. Calcarenite del Miocene, ovvero un calcare corallino pieno di conchiglie e sabbia. Marc quando l’ha vista ha detto di non aver mai trovato una roccia peggiore per fare armi e piantare chiodi. Abbiamo tutti concordato con la sua osservazione.

Ognuno che scende non può evitare di guardare con una certa perplessità le grosse viti Multimonti da 12mm di diametro che abbiamo fissato. Thomas è stato più di mezz’ora appeso alla ricerca di un pezzo di roccia solida in cui avvitarle. Il suo ultimo messaggio via radio prima di scendere è stato un laconico “Ok! Ne ho trovato un pezzetto solido grande come una mano. Credo che tenga!”. Ci eravamo accorti di questo piccolo problema lo scorso anno. Fare delle prove a casa immaginando come si possa comportare un tipo roccia distante 13.000 chilometri è però un altra questione. Fix neanche a pensarci, per un certo periodo parlammo di usare chiodi da ghiaccio, poi ripiegammo su delle più ragionevoli viti multimonti: ma quale diametro e lunghezza scegliere? Alla fine fu deciso che quelle da 12 mm sarebbero state la nostra arma finale. Questa calata con una libera da 120 metri nel vuoto avrebbe decretato se avevamo scommesso bene sui materiali. Alla fine con qualche bella stretta ad ogni passaggio la cosa si rivelò abbastanza sicura, anche se svitarle fu molto più semplice del previsto. Nonostante tutta la nostra buona volontà alcuni giorni dopo Pacu, stringendo in mano la fine dell’ultima corda a disposizione urlò: “Fine cordaaa….. ma continua enorme per almeno cento metri”! Dobbiamo accettare a malincuore che anche da questo lato il fiume per adesso è più forte di noi. È buffo essere in mezzo ad una galleria larga quasi quaranta metri, alta oltre settanta e che prosegue per oltre cento metri, e non poter proseguire. Andare avanti a nuoto o in Kayak, non sarebbe certo un problema. Ma in questo tratto, con le sponde completamente lisce, verticali e la fortissima corrente, senza un traverso di sicurezza non ci sarebbe modo di tornare indietro. Considerando le esplorazioni fatte sui due lati, il traforo principale è stato percorso per circa tre chilometri, ma sono ancora molti quelli che in teoria ci separano dall’estremità della galleria Beccari D’Albertis. Sotto quel tratto ricoperto di foresta scorrono sinuosi gli enormi meandri dell’Aouk e la via non è breve come sembra. Prima di congiungerci dovremo infatti sicuramente passare sotto un grande Tiankeng che abbiamo individuato dall’alto attraverso le riprese fatte con il drone, e quindi incontrare le acque del fiume senza nome che scende da nord.

Abbiamo pensato molte volte a questa misteriosa confluenza sotterranea che deve esistere in un punto della grotta. Abbiamo provato a immaginare un posto del genere: un luogo dove un fiume di quaranta metri cubi si unisce con uno di dieci. Abbiamo provato a immaginare la sua voce e abbiamo sperato di poterlo ve - dere questa volta. Cosi non è andata: ma l’appuntamento con la meraviglia è solo rinviato. Allo stato delle esplorazioni il sistema fluvio-carsico dell’Aouk è composto da numerosi trafori idrogeologici e Tiankeng che si sviluppa attualmente su oltre 6 chilometri di percorsi sotterranei rilevati. Dal punto di vista della portata l’Aouk Underground River è quindi una delle più grandi River cave attualmente esplorate sul pianeta: nello stesso ordine di grandezza dello Xe Bang Fai in Laos e del sistema Gebihe in Cina, eppure non è ancora tutto. Dopo aver seguito il fiume Aouk quasi dalle sue sorgenti, inseguendolo nella sua corsa folle sopra e sotto terra: non potevamo certo lasciarlo arrivare a mare senza fare una visita al suo scherzo migliore: il Kladuk-Ilgen Sinkhole. Qui il fiume è ormai veramente enorme: può infatti contare su oltre 2800 chilometri quadrati di bacino idrografico, su cui piove praticamente sempre. Un serpente quasi sempre marrone e limaccioso che scorre tra due lati di foresta. Questo è il nostro secondo obbiettivo. Un traforo potenzialmente assurdo, percorso da un fiume con una portata stabile di 130-180 cumecs. Le immagini satellitari ci mostrano chiaramente il punto dove il fiume scompare e quello dove ricompare in una enorme rapida di acque bianche. Nel mezzo alcune grandi chiazze nere hanno tutta l’aria di enormi pozzi dove provare a scendere.

Quando arriviamo davanti al grande lago dove s’inghiotte, riconosciamo la foto fatta oltre un secolo fa dal tenente Gustav Ilgen, mentre esplorava questa parte della Nuova Guinea. Come allora una enorme catasta di legna ricopre come una lastra di ghiaccio lo spec - chio d’acqua. Sembra di camminare su terreno solido, ma sotto di noi scorre il fiume. Sul fondo la parete e una bocca larga e bassa. Ci avviciniamo con circospezione, un grande antro prosegue all’interno fino a quella che sembra una parete, un sifone. Qui non si può ne nuotare ne camminare e anche il resto serve a poco, non ci rimane che tentare la risorgente a valle. Se a monte il Kladuk scompariva quasi silenzioso nel grande lago, qui dove esce ruggisce con tutta la sua forza. Più che rapide sono vere e proprie onde e anche se è praticamente in magra saranno oltre cento i metri cubi che sputa verso di noi. Purtroppo anche da questo lato l’acqua esce sotto la parete e non ci resta che contemplare la più grande risorgente carsica del pianeta.

Nel vicino villaggio di Saluk, conoscono bene il loro fiume e la sua abitudine a nascondersi nel sottosuolo. Cosi il loro Re ci accompagna presso una di quelle macchie scure a metà strada. Dall’alto il ruggito è inconfondibile, sotto questo Tiankeng scorre il Kladuk. Tra foresta e pareti, una lingua d’acqua torna a giorno per settanta metri traversandolo da un lato all’altro. Lo spettacolo è grandioso. Purtroppo anche qui due sifoni ci sbarrano la strada. Forse avendo più tempo, forse cercando meglio potremmo avere più fortuna. Eppure, allo stesso tempo siamo contenti di aver vissuto questo luogo incredibile. Pensandoci bene, sembra quasi ovvio e giusto che il fiume sotterraneo più grande del pianeta abbia deciso di conservare quasi intatto il suo buio e il mistero. La Nuova Guinea è un essere composto di foreste e montagne. Per ora noi abbiamo vagato sicuramente tra le prime, ma non si può andarsene senza aver almeno salutato le seconde. Ogni spedizione dovrebbe terminare con una survey capace di creare nuove idee e nuovi progetti. Più le idee sono folli e più c’è speranza riescano. Durante i mesi di preparazione avevamo vagliato varie ipotesi sul posto migliore dove andare a cercare grotte con grandi potenziali verticali e possibilmente anche enormi fiumi interni. Ovvero, dopo il grande fiume sotterraneo orizzontale, eravamo a caccia del grande fiume sotterraneo verticale. Dopo aver studiato i report di tutte le precedenti spedizioni era apparso chiaro che nonostante la vastità delle catene montuose, con zone carsiche anche sopra i 4000 metri, la cosa non era cosi facile. Da una parte zone potenzialmente interessanti, ma con grossi problemi logistici e di permessi da parte dei militari; dall’altra zone più accessibili ma dove il carsismo profondo sembrava più una speranza che una realtà. Due eccezioni sembravano uscire da questo schema: la grotta di Sibil Buk nelle Star Mountain al confine con PNG, e i massicci senza nome a est di Wamena. La prima è una scommessa con la sorte, ovvero con le condizioni metereologiche. Basta immaginare un fiume intermittente di circa 20-30 metri cubi che decide di riversarsi in un inghiottitoio con un dislivello verticale accertato di circa 900 metri per capire di cosa si tratta. La grotta esiste, è grande e siccome è stata colorata da una spedizione geografica nel 1959 sappiamo dove escono le sue acqua: ovvero dieci chilometri in linea d’aria da dove entrano e quasi un chilometro più in basso. Sappiamo anche che l’acqua li dentro corre, visto che la fluorescina uscì nell’arco di circa 4-5 ore! Solo una spedizione olandese nel 1992, riusci a incastrare tutti i tasselli necessari per tentare la sorte. Ne uscì fuori la seconda grotta per profondità dell’Indonesia, ferma a -350 circa su galleria enorme. Il problema ovviamente fu la piena a cui scamparono con tanta fortuna. Come idea e progetto ci è sempre sembrato abbastanza folle da essere seriamente preso in considerazione, e infatti è nella lista delle cose da fare prossimamente. La Nuova Guinea è un essere composto di foreste e montagne. Per ora noi abbiamo vagato sicuramente tra le prime, ma non si può andarsene senza aver almeno salutato le seconde.

Ogni spedizione dovrebbe terminare con una survey capace di creare nuove idee e nuovi progetti. Più le idee sono folli e più c’è speranza riescano. Durante i mesi di preparazione avevamo vagliato varie ipotesi sul posto migliore dove andare a cercare grotte con grandi potenziali verticali e possibilmente anche enormi fiumi interni. Ovvero, dopo il grande fiume sotterraneo orizzontale, eravamo a caccia del grande fiume sotterraneo verticale. Dopo aver studiato i report di tutte le precedenti spedizioni era apparso chiaro che nonostante la vastità delle catene montuose, con zone carsiche anche sopra i 4000 metri, la cosa non era cosi facile.

Da una parte zone potenzialmente interessanti, ma con grossi problemi logistici e di permessi da parte dei militari; dall’altra zone più accessibili ma dove il carsismo profondo sembra- va più una speranza che una realtà. Due eccezioni sembravano uscire da questo schema: la grotta di Sibil Buk nelle Star Mountain al confine con PNG, e i massicci senza nome a est di Wamena. La prima è una scommessa con la sorte, ovvero con le condizioni metereologiche. Basta immaginare un fiume intermittente di circa 20-30 metri cubi che decide di riversarsi in un inghiottitoio con un dislivello verticale accertato di circa 900 metri per capire di cosa si tratta. La grotta esiste, è grande e siccome è stata colorata da una spedizione geografica nel 1959 sappiamo dove escono le sue acqua: ovvero dieci chilometri in linea d’aria da dove entrano e quasi un chilometro più in basso. Sappiamo anche che l’acqua li dentro corre, visto che la fluorescina uscì nell’arco di circa 4-5 ore! Solo una spedizione olandese nel 1992, riusci a incastrare tutti i tasselli necessari per tentare la sorte. Ne uscì fuori la seconda grotta per profondità dell’Indonesia, ferma a -350 circa su galleria enorme. Il problema ovviamente fu la piena a cui scamparono con tanta fortuna. Come idea e progetto ci è sempre sembrato abbastanza folle da essere seriamente preso in considerazione, e infatti è nella lista delle cose da fare prossimamente. L’altra possibilità erano i massicci montuosi nella valle del Baliem a est della città di Wamena. Stranamente dimenticati da ogni precedente spedizione, nonostante le vistose risorgenze che proprio accanto alla città scaricavano le loro acque. Il tempo per questa survey è poco e nelle Star Mountain pare piovano circa dieci metri di acqua l’anno, e molta in inverno. Decidiamo quindi che Oksibil può aspettare e che è tempo di andare a fare una visita alla valle del fiume Ba - liem. Come al solito un poco di fortuna non guasta e cosi i contatti con Robert Hewat speleologo australiano, ci permettono di aggiungere alcuni tasselli che ci mancano al quadro generale. Tra le numerose risorgenti della zona, esplorate dalle spedizioni Anglo-Australiane negli anni ’80-’90, una è rima - sta praticamente dimenticata. Chiusa nel cassetto degli esploratori e mai più ripresa. Si tratta del sistema del fiume Yumugi o Kutiulerek, per nostra fortuna si tratta forse della grotta più importante della zona, sicuramente della più lunga di West Papua. Parzialmente esplorata dalla spedizione del 1996 guidata da Andy Eavis, non è presente in nessuna bibliografia e cosa ancora più importante ha ancora molto da svelarci. In una settimana riusciamo cosi ad aggiungere altri chilometri alla grotta portandola ad oltre 8 di sviluppo e cominciamo a farci un idea della zona.

A casa avevamo studiato bene le montagne a est con i loro plateau a quasi tremila metri e le cime a quasi quattromila. Oltre a molti pozzi, si vedevano bene anche grandi torrenti scomparire inghiottiti a quasi tremila metri di quota. Kutiulerek e le altre risorgenze erano il tassello che dovevamo verificare per capire quanto potesse essere realistico immaginare sistemi carsici profondi. Da quello che abbiamo visto la zona si presta all’esistenza di almeno quattro grandi sistemi paralleli: capaci di drenare flussi compresi tra i 2 e i circa 20 cumecs di portata media. Sistemi che potrebbero svilupparsi su un dislivello compreso tra i 1200 e i 1500 metri nonché distanze di oltre dieci. L’idea a questo punto è abbastanza folle da essere seriamente presa in considerazione! Non sappiamo ancora se riusciremo a coniugare questo progetto esplorativo e l’Aouk nella stessa spedizione. Più delle distanze è il tipo di materiale necessario che rende complessa la situazione. Tanto è calda l’acqua dell’Aouk, quanto può essere fredda l’acqua delle Highland. Da progressione acquatica in maglietta si rischia di passare rapidamente a progressione acquatica con la muta semistagna, per non parlare della logistica del campo e dell’abbigliamento da alta montagna. Siamo ancora all’Equatore, ma è molto facile dimenticarselo! Una cosa è certa, mancano solo nove mesi alla prossima partenza. Il tempo stringe e sono ancora moltissime le cose da organizzare e sperimentare. Qual è il modo migliore per pilotare controcorrente un Alpackraft a motore in una galleria sotterranea? Quanti nodi di corrente riusciremo a vincere? Già perché questa volta giocheremo anche in questo modo e non c’è molta bibliografia a riguardo. Ma il bello è proprio questo: quando si organizza una spedizione, l’esplorazione inizia molto prima di partire e non sai mai dove ti porterà!

Un saluto da questo gruppo di Matti. Partecipanti alla spedizione Papua 2017: Ivan Vicenzi (Gruppo Speleologico Sacile), Thomas Pasquini (Gruppo Speleologico Piemontese); Katia Zampatti (Gruppo Speleologico Brescia), Andrea Benassi (Società Speleologica Saknussem); Riccardo Pozzo (Gruppo Speleologico Biellese); Tommaso Biondi, Marc Faverjon e Paolo Turrini.

Un sentito ringraziamento agli sponsor che hanno creduto nel nostro progetto, aiutandoci con materiali e fiducia a renderlo possibile: Petzl; Rodcle Equipment; Korda’s; CT Climbing technology; Kikko Lamp; Repetto Sport; Enomad; AlpackaRaft; Società Geografica Italiana; Società Speleologica Italiana; Museo di Storia Naturale di Firenze; Museo di Storica Naturale di Verona; Gruppo Speleologico Sacile, Parco della Vena del Gesso, Parco delle Dolomiti Friulane, Unione dei Comune della Romagna Faentina.

Articolo di Andrea Benassi, Ivan Vicenzi.

ARTICOLI PUBBLICATI:

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